Il
Piccolo Principe
di Antoine
De Saint-Exupéry
Tutti
i grandi sono stati bambini una volta.
(Ma pochi di essi se ne ricordano)
«Sei
anni fa ebbi un incidente col mio aeroplano nel deserto del Sahara.
Qualche cosa si era rotta nel motore, e siccome non avevo con
me né un meccanico, né dei passeggeri, mi accinsi
da solo a cercare di riparare il guasto. Era una questione di
vita o di morte, perché avevo acqua da bere soltanto per
una settimana... Potete immaginare il mio stupore di essere svegliato
all'alba da una strana vocetta: "Mi disegni, per favore,
una pecora?"... E fu così che feci la conoscenza del
piccolo principe.»
A cinquant'anni dalla pubblicazione negli Stati Uniti del libro,
Il Piccolo Principe è divenuto un long seller internazionale,
un testo-chiave di formazione.
Antoine
de Saint-Exupéry, il suo autore, era un aviatore e un umanista:
adorava volare e s'interessava agli uomini.
Qualche mese dopo l'apparizione del suo capolavoro, scomparve
in aereo sul Mar Mediterraneo.
Ma la favola del ragazzina dai capelli d'oro continua.
Dalla
prefazione di Nico Orengo
Il
Piccolo Principe arrossisce, è un bambino che non risponde
alle domande, ma a qualcuna arrossisce. «E quando si arrossisce,
significa sì, vero?» dice Antoine de Saint-Exupéry.
E' una sfumatura d'acquerello sulle guance, un tocco intimo, impudico
e pungente che vale come una conferma.
Il Piccolo Principe è un racconto autobiografico.
Durante tutta la sua vita Saint-Exupéry conservò
questa particolarità, di arrossire invece di rispondere
quando gli si presentavano situazioni di leggero imbarazzo. Fatto
così raro in un adulto, che in più è un uomo,
tenace residuo dell'infanzia. Un racconto doppiamente autobiografico,
più di una confessione e anche un po' un'anticipazione
visionaria nell'epilogo.
Esattamente come il Narratore, Saint-Exupéry era pilota
di professione. Lo fu all'epoca gloriosa dell'aviazione, quando
volare su uno di quegli apparecchi era una magnifica sfida. E
da civile, lavorò per l'Aeropostale e fu tra i primi a
trasportare per via aerea le lettere della gente. Ebbe realmente
una grave avaria in pieno deserto del Sahara, nel 1935, e fu ritrovato
e salvato miracolosamente dagli indigeni quando era ormai pressoché
morto di sete.
Il bambino che gli si presenta improvvisamente nel deserto è
un'altra parte di se stesso, una parte che ebbe la fortuna di
incontrare: dal pianeta della sua infanzia forse, senza il quale
il pilota avrebbe finito per dimenticare come di solito succede
ai grandi. Siccome il Piccolo Principe non risponde alle domande,
non si conosce la sua età. Ma è probabile che abbia
pressappoco sei anni, l'età del narratore Saint-Exupéry
nel momento in cui gli adulti hanno scoraggiato la sua vocazione
per il disegno, «convincendosi» a non vedere nient'altro
che un cappello nel serpente boa che aveva ingoiato un elefante
tutto intero. Ma l'ex bambino aveva sempre conservato quel foglio,
per non dimenticare, giustamente, a che punto la mancanza di immaginazione
degli adulti potesse essere grande e scoraggiante.
Così, quando il Piccolo Principe gli chiede di disegnare
una pecora perché lui è incapace di farne una che
gli piaccia (la prima è malata, l'altra ha delle piccole
corna nonostante le pecore non ne abbiano, la terza è troppo
vecchia), il Narratore tira fuori il suo vecchio disegno, come
fosse stato un segno di riconoscimento. Il Piccolo Principe protesta
immediatamente: «No, no, no! Non voglio l'elefante dentro
al boa... Ho bisogno di una pecora: disegnami una pecora».
Questo libera il Narratore e il quarto disegno è quello
buono. Una cassa rettangolare con tre buchi per respirare. La
pecora del Piccolo Principe è là dentro, probabilmente
dorme. «L'essenziale è invisibile agli occhi»
dirà il bambino più tardi.
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